1943, USA, 16mm, b/n, sonoro di Teiji Ito aggiunto nel 1959, 13 min. 45 sec.
È un film dalla forte connotazione onirica: su un grande fiore si staglia l’ombra di una figura che a passo svelto va via; si alternano le immagini di una chiave, di un coltello da cucina, di una cornetta di un telefono non agganciata. Il disco di un fonografo gira. Una donna (Maya Deren) cammina lungo il marciapiede vicino casa, vede di sfuggita una figura che gira l’angolo, apre la porta d’ingresso e, dopo una sbrigativa ispezione della casa vuota, procede al piano di sopra per andarsi a riposare su una poltrona accanto ad una finestra. Da questa inquietante premessa introduttiva, Maya Deren modula la messinscena di oggetti dall’apparenza comune per creare sovrapposti piani di realtà esistenziale, usando mutazioni di immagini ricorrenti - superfici riflettenti (il volto come uno specchio, lucide sfere di metallo), sdoppiamenti e sosia - per rappresentare frammenti ambigui di narrazione tra immaginazione e ricordo. Con un linguaggio filmico dissociato che ricorda esperimenti letterari (ed il successivo cinema di Alain Resnais, in particolare L’Anno Scorso a Marienbad), il film mette in atto una serie di sottili mutazioni strutturali, temporali e logiche, creando una meditazione sublime e complicata sull’interazione tra esperienza e memoria, banalità domestica e violenza, immaginazione e realtà.
La messinscena da sogno di Meshes of the Afternoon, l’illogica traiettoria narrativa, il fluido movimento della cinepresa e la colonna sonora invitano ad una partecipazione contemplativa, trascendentale, dello spettatore. L’uso di angolature insolite ed azzardate (come nella ripresa del personaggio che sogna, un tipo di prospettiva da ragno, presagisce la morte del sognatore) è una delle caratteristiche del film e influenzerà tutti i film-makers dell’underground.