Abbiamo voglia di scariche emozionali, non vogliamo rimandare questo incontro tra film-makers e fruitori, vogliamo intensamente vivere questi tre giorni di Independent Film Show 20 edition e scoprire in presa diretta e con partecipazione attiva le soluzioni escogitate per scardinare le abitudini; senza nessuna divisione di genere, Independent Film Show è libero e non insegue le mode, la routine, la costrizione commerciale, l’esigenza dei numeri. Questi artisti sono abili comunicatori delle emozioni, delle affezioni sensuali e delle psicologie percettive, ed attraverso l’ideazione di complesse strategie audio-visive, escogitano esercizi mentali e attitudini investigative, intersecano memorie, sensazioni, sincronizzazioni e sinestesie, guidano la nostra comprensione alla scoperta di inusuali meccanismi cognitivi. Essi traggono dalle proprie esperienze, introspezioni, capacità mentali e frammenti di vita; chiedono ai fruitori di riflettere in modo differente, di interpretare queste emozioni come delle interferenze non comuni, fuori da schemi abituali. Dalla prima edizione di Independent Film Show nel 2001 abbiamo appreso come attivare queste connessioni inusuali, senza dover seguire l’intransigenza delle categorie, la linearità delle narrazioni, la rigidità delle funzioni prestabilite. I frequentatori dell’Independent Film Show sono abituati ad attivare un coinvolgimento profondo, che si dirama nella mente come le geometrie interconnesse di Escher, a comprendere/interpretare sensualmente, ad entrare in sintonia. La creatività e l’ingegnosità è il comune denominatore di questa arte filmica realizzata simulando il movimento delle immagini minuziosamente selezionate, non utilizzando il consuetudinario e le semplificazioni dell’automazione.
I due programmi a cura di Raffaella Morra Exposure to chance e Welcome Happy Coincidences sono un incitamento a superare le avversità per non soccombere, a cogliere il lato positivo nella casualità della vita e a saper scorgere le felici coincidenze. Queste opere sono dei percorsi metafisici che indagano le fisicità delle materie, come la pietra e la sabbia lavica in ΑΠΟΚΑΤΑΣΤΑΣΙ di Matteo Fraterno, i fenomeni naturali come il vento nei video Vent di Patrick Bergeron e Non si può nulla contro il vento dei Flatform (quest’anno invitati al Festival di Cannes), e le nuvole in Transformation di Telemach Wiesinger, componendo mosaici di luoghi e assi di riferimento in continua trasformazione; ed ancora, condividendo i frammenti di vita e i comportamenti umani in Got ‘Til It’s Gone di Kengné Téguia, le memorie multi-etniche di territori alieni in Debris di Giuseppe Boccassini, Orchard di Julie Murray, Tender Feet di Fern Silva, Morfología de un Sueño di Malena Szlam, Itzcóatl del Colectivo Los Ingrávidos; per giungere agli haiku visivi-sonori di PTKHO di Mahine Rouhi, Bételgeuse di Hugo Verlinde, For A Young Filmmaker di Sandra Davis, brRRMMMWHEee II di Billy Roisz, e alle memorie storiche e personali in Nach Osten Schauen di Deborah Phillips, e 14 Juillet di Olivier Fouchard, con le sue parole “…capaci di svegliare i dormienti e dir loro che la rivoluzione non è soltanto una festa…”.
Sight of Sound è il programma di Mike Cooper, da più di cinquant’anni chitarrista, cantautore di folk-blues, esploratore/sperimentatore di generi dall’improvvisazione alla musica elettronica, autore di saggi e storico delle musiche e dei musicisti del Pacifico, artista visivo e film-maker. Inizialmente ha realizzato film Super 8mm, ma quando il medium è diventato difficile da acquistare e sviluppare, ha prima utilizzato una videocamera economica che produceva un’immagine di due pixel e mezzo, e di recente una fotocamera Full HD Sanyo da 10 megapixel, e come afferma “…abbastanza piccola da esser discreta e realizzare degli hip-shots (riprese fortuite). Mike Cooper ha realizzato dei brevi video che condividono quella degradata qualità lo-fi che gli piace tanto, delle ‘poesie leggere’ come li definisce: “...Tendo a girovagare con la videocamera in tasca, a scattare foto senza intenzioni particolari e dopo nell’editing a modificare qualcosa”.
Light Cone, una collezione viva a cura di Emmanuel Lefrant, film-maker e direttore di questo propagatore di films e video, riflette la diversità del catalogo di distribuzione dal 1982 ad oggi, e testimonia la ricchezza di questo cinema che vive da più di un secolo ai margini dei circuiti commerciali. Al suo interno vi sono rappresentati tutti i grandi movimenti filmici delle avanguardie del XX secolo fino al contemporaneo, contando più di 5500 opere, realizzate dal 1900 ad oggi da più di 800 artisti e film/video-makers provenienti da tutto il mondo. Nel programma c’è il 16mm Tönendes Abc (Abc In Sound) di Laszlo Moholy-Nagy del 1933 scomparso per più di 80 anni e ritrovato dai curatori del BFI, incorporato in una bobina che conteneva anche i film di Oskar Fischinger, ed inoltre le opere realizzate tra il 2010-2019: Kitchen Beets di Bea Haut, Bruit Blanc di Jérôme Cognet e Karen Luong, Freeze Frame di Soetkin Verstegen, ATHYRIUM FILIX-FEMINA di Kelly Egan, Das Schöpfwerk di Jürgen Reble, Or / Or, Hawick di Jacques Perconte, Camera Sick di Jeremy Moss, The Exile / Pituvahalayā di Rajee Samarasinghe, Borgo di Lucie Leszez, Words of Mercury di Jerome Hiler.
Dal 2009, 70FPS è un progetto di expanded cinema del film-maker Andrea Saggiomo, con cui ha improvvisato in diversi paesi europei collaborando con musicisti e artisti internazionali. Ancora no! (2018) è una pellicola Super 8mm su cui ha stampato manualmente (con la tecnica del rayogram) insetti e foglie insieme a ritagli di altri film, senza una continuità lineare di fotogrammi; nella proiezione (a velocità variabile) queste immagini si animano, entrano in relazione fra di loro, producono rumore trasformandosi in un film attraverso lo sguardo, non esiste il film senza che qualcuno lo proietti e qualcun altro lo ammiri e ascolti. Transparent Nature (appena composto e presentato in prima visione) è descritto come “…la natura trasparente del film messa a dura prova dalla volontà di guardare dentro ai ricordi, in quel brodo primordiale da cui tutto ha avuto origine e dentro al quale, volenti o nolenti, siamo ancora immersi”.
Big Screen Brutals a cura di Botborg è una celebrazione di sei video ‘brutali’ di artisti contemporanei che impiegano un’estetica massimalista nella video art e nelle sonorità elettroniche e noise. Sono delle combinazioni glitchy (errore/problema tecnico) di suono e visione psichedeliche e violente, dei cortocircuiti elettro-sciamanici che conducono verso un nuovo stato di surrealtà: in Clairvoyant di Der Kleine Kreis delle forme ridotte, quasi geometriche, si muovono sullo schermo in schemi aleatori per formare una connessione sinestetica con il suono, Crashed Universal di UCNV è realizzato attraverso una ricerca precisa dei media digitali, in Krushers of False Mechaniks (2D version) di The Superusers una fonte di luce diventa incandescente, cambiando colore con regolarità prima di trasformarsi in un’esplosione intensa di schemi crollanti, Tzara di Guillaume Vallée è un film/video ibrido creato dal found-footage 16mm di un oscuro documentario e si ispira al processo creativo di Tristan Tzara, in Anulus Pexie di Norihiro Sekitani & Sgure si muovono colorati collage distorti del corpo e delle viscere umane, Kokofreakbean per realizzare God Knox dice: “…ho usato After Effects, Maya, Photoshop, Reaktor, Premiere, jenkem, trucioli di callo d’ippopotamo nano e olio di gomito per concepire ed eseguire questa auto-inseminazione”.
Botborg è un gruppo internazionale di performance audio-visive che fondono e ricollegano segnali elettronici grezzi per creare delle esperienze visceralmente intense e sinestetiche di suono-colore. Utilizzando una complessa gamma di elettronica personalizzata, Botborg creano dal vivo degli assalti multisensoriali di colore e ritmo interdipendenti, per invocare la massima stimolazione possibile della mente e del corpo dei fruitori. Le performances di Botborg sono essenzialmente dimostrazioni pratiche del proprio “meta-strumento” noto come “Fotosonicneurokineasthograph”. Questa è una macchina feedback complessa che incorpora un mix intricato di nuove e vecchie tecnologie, che vengono modificate e personalizzate in base alle caratteristiche uniche del luogo. Sebbene gli operatori umani di Botborg siano abili manipolatori del sistema, l’utilizzo è ugualmente imprevedibile e incontrollabile, permettendo di apparire e suonare in modo diverso in ogni occasione. Ogni dimostrazione è improvvisata e l’unico materiale di origine proviene dal “Photosonicneurokineasthograph”.