La terza edizione della rassegna napoletana independent film show è uno degli eventi più interessanti nell'ambito del cinema indipendente. Per il pubblico, per i filmmaker, per i curatori e gli organizzatori. Non mi riferisco, con questa affermazione ad un aspetto competitivo rispetto ad altre rassegne, (nel senso che vi sono rassegne altrettanto belle). Semplicemente, intendo sottolineare l'unicità e la bellezza di questo evento annuale.
La filosofia alla base di questa serie di presentazioni di film è l'assenza di qualsiasi forma di pressione dai festival convenzionali: presentazione di nuovi lavori quasi esclusivamente girati nei due anni precedenti. Molti dei film d'avanguardia, persino quelli celebrati ampiamente in molti saggi, che sono inclusi entro i canoni degli alti riconoscimenti dell'arte contemporanea e della sua storia, sono poco noti al pubblico e visti raramente persino da esperti ed amanti dell'arte. Accade così che molto spesso sembri improprio confrontarsi con questi lavori preziosi e quasi invisibili, di così grande importanza, con le stesse restrizioni imposte da molte altre rassegne di cinema, che tendono a mostrare premiers di un certo tipo piuttosto che di un altro, e più spesso a non mostrare un'opera solo perché è stata già presentata ad un altro festival. Le opere storiche si possono vedere solo nelle retrospettive.
È difficile trovare un altro tipo di rassegna che dia ai curatori invitati tanta libertà di espressione quanto la rassegna di Napoli.
Non si avverte quella pressione generalmente legata ai vincoli che impone la ricerca dello spettacolare, del nuovo, dell'eccezionale, del popolare o dell'impopolare. Vi è invece libertà assoluta e la possibilità di presentare qualunque cosa abbia un senso come programma. I curatori, non costretti da limiti di sorta (come i filmmaker e tutti gli artisti) tirano fuori cose straordinarie, sia presentando programmi sublimi e ben curati che combinando il lavoro di diverse generazioni di film maker indipendenti di tutto il mondo.
Quest'anno troviamo un one man show di un talento eccezionale, tanto difficile da inquadrare in una categoria che persino il termine "filmmaker" non suona appropriato. L'arguto titolo della presentazione di McClure, "Emulsioni Reciproche" offre allo spettatore una certa idea di ciò che lo aspetta: proiezioni sublimi e quasi minimaliste di film, sovente manipolati in maniera semplice e sempre molto diretta, ad esempio tinteggiando l'emulsione a mano, creando dunque leggere modifiche sulla superficie, i cui effetti si vedono sullo schermo nella proiezione.
Nel programma di Piero Pala troviamo classici come Little Stabs at Happiness di Jacobs (uno di quei film quasi mai visti, specialmente in Europa) e Looking for the Mushrooms di Bruce Conner. L'uso da parte del film maker del footage, che egli stesso ha girato, rappresenta una rara eccezione nell'opera di colui che è considerato il più importante protagonista dell'utilizzo della tecnica filmica "found footage". Looking for the Mushrooms è un capolavoro psichedelico sulla ricerca dei funghi allucinogeni, accompagnato dalla partitura di Terry Riley. L'intero programma è dedicato ai film che hanno forti affinità con la musica e partiture molto particolari.
Louis Benassi col secondo programma estende la rassegna di quest'anno in un contesto legato anche alla video arte contemporanea britannica, ed ha per tema l'idea di "Topografie e Spazio".
Il programma di Florian Wüst "Ecstatic Bodies" si confronta con le percezioni sensuali suscitate dal film, utilizzando immagini che evocano nello spettatore sensazioni forti o estreme.
Uno degli esempi più rilevanti per tale approccio è rappresentato da T,O,U,C,H,I,N,G, di Paul Sharits, in cui l'autore tenta di affrontare fisicamente lo spettatore, afferrare la sua retina, toccargli l'occhio. In questo lavoro visivamente intenso, strutturalmente complesso ed estremamente rigido allo stesso tempo, Sharits è riuscito anche ad includere allusioni di tipo autobiografico, come quando vediamo un volto graffiato da unghie di donna e la lingua tagliata con le forbici; lo stesso Sharits ha vissuto esperienze del genere e verso la fine della sua vita il suo corpo era coperto da cicatrici provocate da colpi d'arma da fuoco, forbici, coltelli e scazzottate.
La rassegna di Napoli si svolge in un luogo di incredibile bellezza ed atmosfera: la Fondazione Morra, una galleria sita nel Palazzo dello Spagnuolo a via Vergini, distante pochi metri dal cuore del Centro Storico di Napoli. Questo luogo, oltre al fascino intrinseco, sembra aver assorbito l'intensità di decenni di fervore artistico e armonia e sembra essere in grado di irradiarla verso l'estremamente ricettivo ed entusiasta pubblico napoletano.
L'intensa atmosfera della galleria è esaltata dal fatto che le proiezioni si svolgono entro gli stessi ambienti, i film maker proiettano quasi sempre da sé, il che è garanzia della perfezione nella presentazione del film, cosa altrimenti impossibile con una proiezione convenzionale. La stessa presenza fisica dell'attrezzatura rende il pubblico consapevole della tecnologia utilizzata in ciascun lavoro ed allo stesso tempo crea intimità tra gli artisti ed il pubblico.
L'idea di base dell'Independent Film Show è quella di creare un interesse nuovo piuttosto che soddisfare un tipo già esistente, e gli ideatori hanno fin dall'inizio inteso creare una rassegna tesa a cambiare la percezione del cinema indipendente ed artistico, non solo nel sud Italia.
Lavorare con il film significa molto spesso per un artista trovarsi a metà strada tra le belle arti e la cinematografia convenzionale, col risultato di essere guardato con sospetto da entrambe le parti (e molto spesso trovarsi anche ad affrontare l'amara realtà di vedere le conquiste della cinematografia d'avanguardia applicate con successo in altri contesti, senza ricevere alcun riconoscimento).
Con l'Independent Film Show di Napoli, il cinema indipendente trova, almeno per una settimana all'anno, una casa: proprio nel cuore delle belle arti.
Thomas Draschan